Lo sloveno si racconta ai lettori dell'Equipe
La scoperta del tracciato del Tour interessa anche al Giro.
Per capire se la maglia arcobaleno di Remco Evenepoel prenderà una via oppure un’altra. O magari tutt’e due, in Italia per prepararsi al debutto in Francia.
L’Équipe stamattina parla di un Tour per Tadej Pogacar. Non cita il belga. Mmm. Ci sarà quella che chiamano una mini-Liegi-Bastogne-Liegi nei Vosgi, sei passi in 133 chilometri, compresa la sequenza Petit Ballon e Platzerwasel, alla penultima tappa, alla vigilia degli Champs-Élysées.
Per il secondo anno consecutivo, Tadej Pogacar ha approfittato della presentazione del percorso del Tour a Parigi per andare nella redazione del quotidiano sportivo il giorno prima. Stavolta senza la classica intervista, ma per rispondere alle domande di dieci abbonati “selezionati con cura”, dice il giornale tra le mille domande presentate all'ufficio comunicazione, “un record per un incontro con i lettori”.
Ci hanno scartato.
Invece c’erano un ingegnere elettronico, un direttore d'azienda, un project manager qualunque cosa sia, un vicedirettore di un contact center, uno specialista di informatica, un commerciante, uno studente, un cioccolataio, un insegnante di scuola media e un imprenditore.
“L'originalità dei profili degli interlocutori - racconta l’Équipe - ha generato due o tre risposte inaspettate, ad esempio abbiamo appreso che il battito cardiaco del fenomeno sloveno è straordinariamente lento, recentemente misurato a 38 battiti, e che quest'anno ha battuto i suoi record di potenza, 500 watt generati durante i dieci minuti di salita della Côte de la Croix. Ma gli abbonati hanno posto a Pogacar domande abbastanza classiche”.
Meno male.
E lui: «Ho iniziato a pedalare per fare come mio fratello Tilen, che ha due anni più di me. I primi risultati non sono arrivati subito, tutt'altro. Ho vinto la mia prima gara al secondo anno, un traguardo in salita. Non avevo idoli da ragazzo: ho visto Alberto Contador, Andy Schleck, il loro duello al Tour è stato divertente, ma non guardavo molte corse in TV. Non avevo davvero nessun eroe giovanile. Credo di sentire la tensione come tutti gli altri. Avverto una scarica di adrenalina prima di ogni salita, di un grande passaggio, sono preso dallo stress all'avvicinarsi di ogni sprint. Ma cerco di prendere tutto in modo rilassato. Non seguo nessuna preparazione mentale specifica, non vedo psicologi, è la mia natura e ne sono felice.
Amo il mio sport e cerco di prendere il bello anche nelle giornate brutte. Non ho vinto la maglia gialla ma ho passato un anno fantastico. Ho vinto quasi tutto quello che volevo, in termini di intensità è stata probabilmente la stagione più difficile che ho dovuto affrontare. Dopo il Tour mi sono riposato bene Questo secondo posto è come una vittoria. Ho imparato molto.
Ho sentito più amore dal pubblico che dopo le mie due vittorie. Tornerò al Fiandre Il duello contro Mathieu van der Poel rimarrà uno dei momenti salienti della mia stagione. Ero un debuttante in quella gara, non avevo idea di cosa aspettarmi. Ero molto arrabbiato all’inizio per aver perso, me ne sono subito dimenticato. La Roubaix non è una gara adatta al mio profilo, dovrei mettere su qualche chilo. Per divertimento ci andrei, perché no, ma alla fine della carriera.
La maglia iridata è uno dei miei grandi sogni. Essere campione del mondo è il massimo, proprio come una vittoria al Tour e anche più del titolo olimpico. Voglio vincerla nei prossimi cinque anni. Dopo, sarò troppo vecchio. Non esistono i Fab Four nel ciclismo come nel tennis. Da noi ci sono troppe grandi gare, non bastano quattro corridori per dividersi tutti i grandi titoli. Dire che ci sono quattro ciclisti sopra tutti gli altri è riduttivo».
Foto Sprint Cycling
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